Claudio
SPOLETINI

Westward – Lidia Reghini di Pontremoli

Racconti all’Ovest 

Parlare di iperrealismo fotografico o di immagini che duplicano le fisionomie della realtà, sono accezioni limitanti per la comprensione dello stile di Claudio Spoletini.

La preminenza plastica e prospettica di alcuni temi, la visione lucida e attenta del mondo, sono i segni evidenti di una manualità solitaria e felice.

Vivisezionando la realtà per affondare il coltello nelle sue più intime contraddizioni, Spoletini segue il filo di una fantasia a volte ossessiva che lo condurrà all’allestimento di un bestiario fantastico, un’ironica allocuzione sui destini del mondo.

Tra i piani di una prospettiva mai dissimulata si insinuano i soggetti allegorici di un mondo lontano: la predilezione per l’accostamento di realtà apparentemente incongrue è dettato dal piacere di destare ogni volta meraviglia e stupore. Un gusto quasi gotico porta l’artista a concepire ogni quadro come una fantastica wunderkammer, un museo degli orrori, degli stupori ma anche dei piaceri.

Se da una parte si vogliono riportare sul piano esatto della visione la sincronicità di un intero sistema di codici, dall’altra c’è la necessità di ribadire un carattere “organico” della pittura proponendo immagini carnali di un mondo in declino. Qui tutto ha un’anima: anche gli oggetti apparentemente inanimati possono provare dei sentimenti, possono divertirsi in un confronto dissacrante con i segni della civiltà azteca (Dei della futilità).

Spoletini lavora con una tecnica lucida, che oltrepassa la verosimiglianza fotografica: un’acuta consapevolezza del mestiere lo porta a scansare gli eventuali limiti di una rappresentazione eccessivamente “poetica” della realtà.

In un’assolutezza surreale, l’artista non cerca di conciliare l’accostamento tra elementi dissimili; vuole piuttosto rilevare, scavando tra i differenti strati, l’entità fisica di una presenza, còlta in un fermo-immagine sospeso nel tempo. La realtà è comunque un insieme di avvenimenti spettacolari, dilatabili nel tempo e nello spazio,uno stato di esaltazione perenne, accertato e misurato dal calibro esatto dei molteplici punti di vista.

Già dal taglio nitido di un’inquadratura “cinematografica” che si avvale di piani larghi (La fanciulla del fiordo), si può comprendere quanto sia necessario per l’artista misurare le proprie forze con i valori tipici della costruzione narrativa. Per questo nulla viene abbandonato al caso, all’improvvisazione o alla facile riproduzione fotografica della realtà. Tutto è matematicamente dato e preordinato. Sono questi i caratteri estremi di un’attitudine che non priva d’efficacia e di spontaneità la presenza del gesto creativo.

Lavorando all’interno di un “ring” pittorico, Spoletini gioca sulla possibilità versatile di metter a fuoco un insieme di particolari allargando successivamente il campo verso la zona del fondo. A differenza dell’inquadratura fotografica che distingue la priorità dei differenti campi, questo tipo di pittura non predetermina scale di valori, dal momento che, sia gli elementi in primo piano che le definizioni del fondo, conservano le medesime valenze rappresentative: non ritrarre, ma piuttosto chiarire all’osservatore il senso e le logiche di un determinato avvenimento.

Per questo motivo l’artista predilige la narrazione continua di un unico racconto; la storia può svolgersi in una serie di pannelli, cosiccome possono venir rappresentati due tempi distinti della medesima azione, basti pensare all’effetto notte e all’effetto giorno dell’opera Lawrence ritorna nel deserto.

Approfondendo uno sviluppo a carattere essenzialmente narrativo, Spoletini focalizza il proprio interesse verso la trattazione di determinati “topos”: nasceranno così i mitici racconti dell’Ovest, i fatti di un’America vissuta come geografia primordiale, scenario naturale di avvenimenti accidentali.

Sono le immagini della desolazione urbana o gli spazi dilatati dell’America: dal Texas all’Arkansas, al Messico, qui potrà realizzarsi l’attrito visivo nell’incontro surreale tra i ruderi di antiche civiltà e le macchine di un Luna Park (Dei della futilità).

Le realtà paesaggio verranno usate come schermo sul quale proiettare una serie di immagini cariche di contenuti simbolici, allusivi. Così in opere come Natura morta con Presidenti, se da una parte il messaggio rappresentativo è un qualcosa di estremamente solare, tanto è minuziosamente delineato nei particolari, dall’altra il contenuto simbolico è un valore che verrà scoperto ad uno sguardo più attento. Si potranno così scorgere le fisionomie dei vari presidenti come Reagan, a cui si affiancherà un’insegna che riporta a titoli cubitali il nome di Johnson. Ancora, allegoricamente un cespuglio – “bush” in inglese – rimanderà etimologicamente all’attuale presidente statunitense.

In questa ed altre opere, l’evidenza del soggetto viene assunta in qualità di prototipo assertivo: nel racconto all’Ovest, tutto si dichiara, tutto si confessa. Si sottolineano così le diversità culturali, gli atteggiamenti e i modi.

Il racconto all’Ovest è il mito di una realtà lucida che non esclude l’ironia sulle proprie contraddizioni. Sono le immagini di un’America che è deserto per la coscienza.

All’interno di una scenografia multipla, si muoveranno così le figure spettrali e solitarie di un mondo inabitabile per l’uomo. Un mondo sereno ed al tempo stesso apocalittico dove tutto s’è ormai compiuto.

(aprile 1992)
Lidia Reghini di Pontremoli